Scena da BAR.
L'oste: «Ho fatto per sbaglio un orzo, qualcuno lo vuole?». Un avventore: «chi fa un orzo uccide una birra!».
L'uso di una parola inconsueta in una scena come quella giocosamente dipinta dal mio post implica la volontà espressiva di rendere un'atmosfera che è intraducibile a parole, a meno di non dilungarsi in una descrizione lunga e particolareggiata. Parlare di oste e avventori per un barista e i suoi clienti determina nel lettore l'idea di trovarsi in un luogo familiare, in cui i clienti parlano amabilmente con – magari – rudi proprietari, ma con una schiettezza che spesso manca negli asettici bar contemporanei. Non ché quel bar sia divenuto un'osteria o, se vogliamo, una hosteria (ché è diverso), ma perché, per un istante, si è respirata un'aria di antica memoria che oramai non si percepisce quasi più. Insomma, come dice Leopardi, tra parola e termine vi è una profonda differenza, con la prima che è «poeticissima», in quanto densa di sfumature proprio perché desueta.
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