Io, in quei luoghi, ci son passato. Vi erano caffè sonnolenti in quella domenica pomeriggio di dieci anni fa: il sole faceva capolino, ma non scaldava, come spesso accade negli umidi inverni parigini. La pace regnava e i camerieri, affacciati alla porta, si godevano quelle ore di tranquillità, che di lì a poco sarebbero state travolte dalle risa di chi, digerito il pranzo domenicale, avrebbe deciso di gustarsi le ultime ore di svago che il lunedì avrebbe, inesorabilmente, cancellato.
Speranzoso, passavo per quelle vie, provenendo da Mont Martre, dove allora abitavo: chissà, magari la mia squadra si sarebbe ripresa (per la cronaca, non lo fece), ma fiducioso mi dirigevo verso un caffè gestito da Messicani che avevano concesso a dei fanatici di Roma come me di far vedere la partita.
Messicani, già: ché quel quartiere è una ratatouille di sapori, gente, razze, culture. Parigi, l'Europa. O, meglio, l'Europa come sempre me la sono immaginata e sognata. Aperta, solidale, varia. Viva.
Ma oggi, forse, qualcuno di quei visi che incrociai allora è stato freddatati da una follia nata anche in quelle banlieues di cui, già ai confini di Mont Martre, si vedevano allora le problematicità.
E, alla vista del dramma del Bataclan, ho sentito una stretta ancor più forte che in altri fatti di terrore: ché i colpi su quanto ti è familiare fendono con maggiore forza il cuore.
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