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giovedì 2 luglio 2015

La sinistra nel XXI secolo

   Mi son spesso chiesto, almeno da un paio d'anni, s'io sia una persona di sinistra come mi son sempre – orgogliosamente – dichiarato. Il dubbio è legittimo, se su questioni come la scuola, le leggi elettorali, l'economia, l'euro, il senso degli stati nazionali, la Grecia io generalmente dissento con chi, oggi, si definisce 'di sinistra'. 
   Cosa io intendo per sinistra? È essere per gli ultimi, per gli indifesi, per i poveri, certo. Ma non basta, perché anche un retrogrado cattolico può e deve essere a favore di ciò. C'è differenza fra un San Francesco e un Ratzinger! Del resto, non è che i poveri siano sempre di sinistra: non si deve ricorrere all'evocazione della Vandea per dimostrare questo fatto, basta vedere i risultati delle elezioni nei quartieri più desolati delle metropoli europee o, ancor peggio, delle sue campagne per vedere che lì, spesso, si annida l'intolleranza, il razzismo, i pregiudizi. Come è una sciocchezza ritenere che le savauge est toujours bon, è una stupidaggine pensare che il povero abbia sempre ragione. Sinistra, allora, può essere intesa come quell'insieme di persone che credono nel progresso dell'Umanità, per non difendere le rendite di posizione, per consentire l'ascesa sociale a tutti. Per dare a tutti un'opportunità, il più possibile omogenea per tutte le classi sociali. Insomma, è 'sinistra' il sogno di una democrazia più vera e reale. 
   I principî che ho ora esposti, tuttavia, sono profondamente in contrasto con i grandi temi che la sinistra oggi pone all'attenzione. Se la difesa a oltranza dei sindacati trascura gli intessi di chi – per ragioni storiche e sociali – a tali sindacati non è iscritto (il figlio di un operaio di ieri è oggi spesso avvocato, medico, professore: i mestieri 'liberali' della borghesia d'en temps), chi oggi critica la riforma della scuola non vede la necessità che il merito entri in questo mondo, tra i professori e gli studenti: il lavoro, quello duro e faticoso, sono oramai fuori moda, mentre si trattano il nobile mestiere dell'insegnante alla stregua di quello di un impiegato e quello dello studente come un gaio momento di passaggio, in cui ciò che conta è trovarsi in un ambiente piacevole e divertente. Eppure, se pari opportunità devono esservi, solo tramite il duro lavoro chi parte svantaggiato potrà ambire a mestieri che alcuni, ahimé, raggiungeranno perché nati in una famiglia non solo più ricca, ma più acculturata. Il livellamento verso il basso, in effetti, aiuta chi parte da un gradino più alto: se non sei mai stato abituato a scalare, non arriverai mai in alto. Dell'economia si critica spesso la dimensione globale: certo, essa è impersonale e, a volte, crudele, ma l'idea assurda che i paesi possano pensare al futuro gravati di debiti è un coprirsi gli occhi per non vedere. La globalità, infatti, consente a un nipote di contadini o di normali impiegati come me d'aver girato il mondo e, soprattutto, di ambire a un posto – o, quanto meno, a una cultura personale – che un tempo erano riservati alla top class. Per questo, io vedo l'euro come un sogno, il primo passo di quello che vedo, strategicamente, come l'inesorabile percorso verso una federazione europea. Certo, magari non sarà il migliore dei mondi possibili, ma l'idea di potermi permettere più o meno gli stessi beni di un Tedesco o di un Francese – cosa assurda non più di 20 anni fa – mi conforta. In quanto 'di sinistra', d'altra parte, io odio il concetto di nazione – ahi, ahi, chi si ricorda più l'internazionale socialista?! – perché, forse anche grazie al fatto d'esser figlio di una famiglia mista, mi sono trovato a casa in ogni paese dell'Europa continentale in cui ho vissuto o sono semplicemente stato. Se non trovo un assurdo una legge elettorale che consenta di governare, per prendere decisioni importanti e d'avanguardia (si pensi all'arretratezza di un'Italia in cui addirittura i diritti degli omosessuali non sono tutelati), detesto tutti coloro che sblaterano a favore di aziende e, perché no, di paesi che non hanno un equilibrio finanziario adeguato, equilibrio necessario per fare vero progresso (chiedete a Keynes se gli Usa sarebbero potuti uscire dalla crisi del '29, se i bilanci statali fossero stati disastrati come lo sono oggi quelli dei paesi del sud Europa!).
  Insomma, ho paura che si cominci a confondere la 'sinistra' con l'essere contro: contro agli OGM, contro alla sperimentazione animale, contro la TROIKA, contro l'euro, contro tutti. A parte che molti di questi 'no' tradiscono terribile ignoranza (curatevi voi con una medicina non testata sugli animali!), questa sedicente sinistra dovrebbe riflettere se essa non sia più anarchica che socialista o comunista. Ché, poi, se si tira troppo la corda, si rischia da passare dall'altra parte, ricordando che, ai tempi della Rivoluzione Francese (ove il concetto di 'sinistra' è nato), chi diceva no stava a destra dell'emiciclo.



Post scriptum ché, del resto, chi fa il terzomondista dovrebbe chiedersi se un po' di OGM in Africa farebbero poi così male: in un continente in cui la fame è un problema, un grano non attaccato dagli insetti (senza pesticidi!) e con una resa superiore – forse – non sarebbe poi male. Che non consentire agli Africani gli OGM sia, in realtà, una battaglia fatta da chi ha la pancia troppo piena e si riempie la testa di sciocchezze?

1 commento:

  1. È molto bello quello che scrivi. Il punto è che l'ideale politico, oggi, non corrisponde necessariamente a una prassi o a un partito. Molte delle storture, molte delle incomprensioni nascono proprio dal volersi dare un'etichetta a tutti costi, seguendo una coerenza che talvolta ha dell'illogico. Per esempio, chiedersi se Renzi sia di sinistra o meno, per me, è un falso problema. La domanda dovrebbe essere un'altra: quello che lui propone è condivisibile o meno? I mezzi sono adeguati? Posto che non siamo più in un'epoca in cui bisogna rivendicare gli oppressi (anche se, nella prassi, purtroppo, non è sempre così) e che ciò è divenuto un assunto più umano che politico, certe etichette, storicamente connotate, andrebbero forse riviste.

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