"La calunnia è un venticello" recita una famosa aria d'opera: da un piccolo sussurro senza valore esplode poi un temporale. La macchina del fango, com'è stata definita in tempi recenti.
Si prende una scusa, una situazione mal compresa - ingenuamente o con consapevole coscienza - e si comincia a dir male di Tizio, dir male di Caio, dir male di Sempronio. E così, quasi per magia, c'è un vuoto attorno, le parole si fanno mute, i sorrisi son senza denti, le genti son senza occhi. Il capro espiatorio. Un nome passa di bocca in bocca, su bocche che non sanno neanche chi sia - che importa? - il referente fisico, vilipeso senza né atto d'accusa né diritto di difesa.
Solo il brusio di sottofondo, al suo passaggio.
E ti vien da pensare che, forse, troppo ci si affida all'humanitas degli altri e che nessun valore abbia il sacro principio di non fare altrui quello che non si vorrebbe mai subire.
Ché la calunnia è come un oggetto gettato dalla riva di un lago vicino a te che nuoti: tu ti arrabbi del rischio corso ("accidenti, ma se mi arrivava in testa?") e vedi i cerchi concentrici che partono dal punto di caduta avvicinarsi a te. Poi, essi si allontanano, finché ogni molecola d'acqua ove nuoterai d'ora in poi sarà stata già sfiorata dalle onde prodotte da quel lancio. Non troverai più acque vergini, ormai, a meno di cambiar lago. Ahimé! Che, poi, in genere, celata è la mano, nascosta la potenza del lancio e, soprattutto, il perché, sì come l'essenza dell'oggetto lanciato. "Speriamo non siano le mie chiavi di casa", quando vedi il dardo immergersi e perdersi nelle acque. Che brutto scherzetto sarebbe...
Forse era meglio prenderlo in testa quel benedetto oggetto oramai sul fondo del lago.
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