Χαίρετε, φίλοι!

giovedì 11 ottobre 2012

L'Assoluto

È qualcosa a cui penso da molto tempo, forse da quando mi si 'accusò' di correre dietro alle 'chiesine' o quando mi si imputò di non essere 'spirituale'. Ho sempre considerato tali discorsi un po' vacui, privi di quella profondità che richiederebbe una riflessione sul senso della vita: discorsi sul significato 'vero', sul τέλος, sull'armonia del creato mi sono spesso sembrati modi per sfuggire a quello che realmente conta nella vita di un essere umano: il qui e l'ora, e la solidarietà fra individui in base al principio che, se tutti ci comportassimo bene, il dolore sarebbe minore in questo mondo che è, per sua natura, votato alla sofferenza (si pensi alla fame, alle catastrofi, ai terremoti, agli incidenti).

È solo un recente dialogo telefonico, acceso, che mi ha fatto considerare come fosse necessario spiegare perché per me l'Assoluto non esiste o, meglio, di esso, tutto sommato, mi disinteresso allegramente.

Se non erro, tutto cominciò parlando del Bene, un Bene paradigmatico a cui tutti dovrebbero sempre tendere. Un Bene reale. Io, che temo il bianco e nero come il Male peggiore, mi appellai all'inesistenza del Bene, come di ogni assoluto. Non esiste, io dissi, il Bene in sé (forse è per questo che non comprendo Platone e i neoplatonici, da cui molto Cristianesimo proviene), ma credo semplicemente in un modello ideale, che parte dal particolare, che ognuno si forma e a cui ognuno tende. La scienza, continuai, non cerca la Verità, cerca l'approssimazione a qualcosa che ha attinenza con le cose in un dato momento e luogo, ma soprattutto agli occhi di un dato insieme di individui. È, insomma,  la vecchia storia del stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus, quella che distingue materialisti da idealisti.


È una convinzione che mi porto sempre dietro: il mio rifiuto dello strutturalismo, ad esempio, è il rigetto dell'esistenza dei principi primi, delle strutture soggiacenti (ricordo di aver detto, alla lettura di Antropologia strutturale: ok, ma allora dio ESISTE). Ogni paradigma non è altro che una costruzione storica, piccola e parziale. Del resto, se un dio esistesse, è probabile che, essendo parte di  questo mondo, sarebbe – come noi – parziale. Per questo rifiuto Dio come spiegazione, perché non spiega, non mi spiega (oltre a crearmi problemi morali e fattuali, per cui rimando a Candido).

Non convinsi certo la mia dolce 'chiesina', che rimase ed è un'assolutista (e forse è ciò che amo), anche nelle piccole cose della vita. Ma questo, credo, poco importi. Non credo, infatti, che sia poi così importante donde provenga il paradigma, se dal basso o dall'alto, se esso sia vero o un'approssimazione. Io voglio credere che, presso le umane genti di buon senso e di cuore, esista un comparandum che permetta di non fare male agli altri. Non mi importa se tale Ideale sia utilitaristico o Vero, perché le persone si giudicano nei fatti, nelle azioni, non nelle parole. Le parole sono suoni, coprono come vestiti leggeri anche le peggiori azioni. Quello che conta sono i πράγματα, donde tutti dovremmo essere giudicati, dagli uomini e, se pur esiste, da uno o più dei.

Per questo, io prego – chissà poi cosa! – che, una volta valutato, una volta misurato, non sia mai trovato mancante. E ringrazio te, che credi veramente nell'Assoluto, perché la più grande scommessa di questo mondo è la fiducia di condividere con un altro lo stesso comparandum.

3 commenti:

  1. C’era un tempo in cui credevo nel mito della caverna e nel mondo delle idee: il Bene, il Giusto, il Bello, il Vero. Il solo fatto che esistessero dei nomi per indicarne l’esistenza, il solo fatto che ogni umana azione venisse valutata secondo questi parametri o, se vuoi, queste unità di misura, mi ha sempre fatto credere che ci dovesse essere un fondo di verità. Quindi sì, lo ammetto, Platone mi aveva quasi convinta.

    Eppure, lo sappiamo tutti che il Bello è soprattutto soggettivo e culturale, che il Giusto e il Bene sono molto spesso relativi e carichi di conseguenze contrastanti e, infine, che il Vero, in quanto tale, è di per sé inconoscibile.

    C’è un insormontabile peso di relatività che si posa sulle cose e sui pensieri.

    Eppure, benché la realtà si mostri varia e contraddittoria, noi astraiamo: per esempio, astraiamo quando disegniamo un albero, astraiamo quando facciamo scienza e riconduciamo il particolare all’universale, astraiamo quando pensiamo e creiamo logoi. E, non solo quando creiamo logoi come Verità, Bontà e Giustizia, ma anche quando creiamo logoi semplicissimi come sedia, casa, tavolo.

    Ed è vero che non esiste un’idea trascendentale di sedia e che ogni realizzazione ha una sua verità. Ma ci sono dei principi comuni che fanno di una sedia una sedia e che ci permettono di definirla: per esempio, il fatto che essa sia stabile e serva da ripiano a qualcosa, al di là della sua forma specifica.

    È vero: il modello di sedia (inteso come serie di caratteristiche imprescindibili a una sedia) non esiste nella realtà. Non lo si può toccare.

    Tuttavia è il presupposto d’ogni sedia possibile: che può essere tonda, come anche quadrata, rotta o aggiustata. Altrimenti come faremmo a riconoscerla? Ne neghiamo l’esistenza in base ai sensi, ma non in base al pensiero. E la domanda è: cosa accadrebbe se anche il pensiero fosse un senso, dunque una facoltà conoscitiva? Intendo un senso con una diversa modalità di percezione e con oggetti ontologicamente differenti. Non sarebbe in grado anch’esso di esperire l’esistenza o la non esistenza di una cosa?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. [Continuo...]

      Allora, lo stesso si potrebbe dire per le grandi idee, come l’Amore, come il Bello, come il Buono. Ci sono realizzazioni particolari: c’è quel particolare tipo di sorriso che piace a me soltanto, c’è il bene che io faccio a te, ma che nel contempo può risultare dolore per qualcun altro. Del resto, sono e rimango umana.
      Queste idee, io credo e spero, sono nella mente di ogni essere umano e di qualsiasi cultura esso appartenga. Solo che si concretizza in maniera diversa. Ma questo è un fatto ora sociale, ora individuale. Io, per esempio, posso ritenere bella una persona magra perché è la mia società a dirmi così. Allo stesso modo posso ritenere giusta una cosa, perché così dice la mia Costituzione. Comunque sia, tendo sempre a questo genere di idee, anche se con risultati a volte erronei o parziali.

      Forse si potrà negare l’esistenza delle parole, ma non l’aspirazione che l’uomo ha verso di esse. Non cercano tutti l’amore, il bene, il giusto, il vero? Non ho mai conosciuto nessuno che non cercasse questo. Solo ho conosciuto persone che hanno anteposto il proprio bene a quello degli altri.

      E la cosa è ancora più visibile quando, più che a farlo, siamo noi a subire il Bene, il Giusto, il Vero. È quello il momento in cui astraiamo di più e giudichiamo gli altri secondo crismi che per noi sono universali.

      E, se la mente umana ne ha creato i nomi (e in qualsiasi lingua!), significa che queste idee devono avere dello loro specificità per essere definite tali, esattamente come succede per la sedia. È a quelle specificità che io miro. È a quelle specificità che io mi appello. È a questo tipo di astrazione che io mi riferisco. Esiste, una volta tolte tutte le applicazione concrete, l’idea di un bene assoluto, riconoscibile a tutti, esattamente come esiste un’idea generale di sedia (chair, chaise, o comunque la si voglia indicare)?

      Si tratterebbe comunque di un’astrazione, certo. Anche molto comoda. Utile – diciamo – a interpretare meglio il reale. Ma perché la nostra mente sia in grado di operarla, non è forse verosimile pensare che esista anche in natura?

      Io partorisco perché in natura esiste la condizione di possibilità per riprodursi. Io mangio perché in natura esiste il principio dell’energia trasferibile. Perché allora non pensare che, se io so astrarre fin dalla più tenera età, esista questo principio d’astrazione anche a un livello molto più alto?

      Chi può negarlo, infondo, che ci sia un Logos (chiamalo Dio, Provvidenza, Iperuranio) alla base di tutto?

      Più che le parole, comunque, a convincermi è quello che si prova quando si ama o quando ci si sente di lottare per qualcosa che si ritiene veramente giusta. Sono sensazioni troppo forti, troppo totalizzanti per credere che sia solo una faccenda di atomi ed elettricità.

      A me, questa soluzione del Logos convince abbastanza.

      Elimina
    2. Non badare ai refusi. Questo stupidissimo blog non mi fa correggere. Effimeri i blog...

      Elimina