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domenica 6 novembre 2011

Il discorso che non ho fatto

«Studiare il mondo antico ha un'importanza fondamentale per il mondo moderno. I Greci e i Romani sono i nostri avi. Nei loro confronti abbiamo sentimenti simpatetici, anche quando dicono cose che a noi paiono fuori dal mondo: così facciamo, in fondo, con le nostre nonne e i nostri nonni. Li sentiamo parte di noi. Eppure, studiare il mondo antico significa scoprire che i nostri avi erano radicalmente diversi da noi, pur condividendo alcuni valori di fondo. La sessualità, il vivere civile, il rapporto fra i sessi e con le diverse generazioni, il concetto di libertà e giustizia erano talmente differenti che noi, figli dell'Illuminismo e del Cristianesimo sociale, restiamo a volte basiti, quasi infastiditi. Eppure, vogliamo bene loro come, appunto, a dei nonni. E questo – ne sono certo – ci insegna a voler bene o, quanto meno, a capire i nostri fratelli e cugini lontani, che oggi sono diversi da noi. Ma se si accettano i "difetti" dei nostri nonni, perché non si dovrebbero accettare quelli dei nostri parenti più lontani? Questo, a mio avviso, è il grande insegnamento degli studi sul mondo antico»

Tali parole avrei detto, se mi avessero chiesto di parlare alla consegna del Premio Cevolani venerdì sera.

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